martedì 1 aprile 2008

Gola Profonda

Come quelli che vanno nell’orto o nei boschi col coltellino svizzero, Bob porta sempre con sé un minuscolo cavalletto. Lui è Noto, e non solo di cognome. Ormai da alcuni anni è il fotografo per eccellenza dei piatti culinari e annovera tra i suoi successi l’ideazione del marchio di Gobino e le immagini delle opere dello chef Davide Scabin. Bob Noto, torinese, cinquantenne di ottima stazza, tre libri all’attivo, da trentasei anni appassionato di fotografie e da ventisette di gastronomia, mette subito le cose in chiaro: «Il peccato di gola non esiste». Perché? «Il piacere di mangiare è l’affinamento dell’istinto primario di sopravvivenza, ma non solo, è sempre un approfondimento culturale». Alla base della gola c’è un processo di conoscenza anche nella scelte più semplici: «Al bar – precisa - tra due panini devo sapere quale tra i due potrei preferire». Già in questa risposta si capisce come l’ironia sia uno dei suoi tratti distintivi. Il gioco è una componente fondamentale del suo lavoro, che per la precisione rimane sempre un hobby. Infatti, Bob continua a stare dietro al bancone nel negozio di utensileria di corso Bramante.
Il suo studio fotografico è a portata di mano, non ha bisogno di grandi fari o di abili assistenti, in una tasca tiene il cavalletto e nell’altra la macchina fotografica, rigorosamente digitale, una Casio 12.1 megapixel. Lo scatto avviene entro i due minuti e mezzo, «prima che il piatto si raffreddi» ama precisare: più istinto che messa in scena quindi, ma ogni volta problemi diversi da risolvere. Il risultato però non sono delle semplici still life, ma veri e propri ritratti. La giovane scrittrice Serena Guidobaldi lo ha definito il ritrattista della haute cuisine. Isolato dal contesto, il cibo è sospeso in un limbo bianco, che infonde una carica metafisica alla composizione.
E anche a proposito di effetti digitali Bob Noto non è per nulla un purista: «Fotoritocco a manetta. Il digitale è un formato veloce e flessibile. Finalmente, a differenza che con l’analogico, si ha un controllo totale dell’opera».
Gli intransigenti non considerano fotografia il suo lavoro. A lui va bene, e con una smorfia dice: «La chiamino pure illustrazione». Nessuna pietà, nemmeno per l’oggetto delle sue opere: prima scatta e poi divora. Ogni piatto che fotografa poi lo mangia. «Tra un buon piatto e un bel piatto - precisa - non c’è nesso, estetica e gusto non sempre combaciano».
Se si considera l’arte come forma di comunicazione la ristorazione per Bob Noto è la più completa ed esclusiva espressione artistica esistente. «In sala si può assistere ogni sera ad una messa in scena diversa, è come andare a teatro con il vantaggio che dopo lo spettacolo non devi preoccuparti di trovare una pizzeria aperta».

Mauro Ravarino e Stefania Uberti

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